Quanto sono “social” le aziende italiane?

A leggere i dati emersi da  “Quanto è Social la tua Azienda?”, un’indagine sull’utilizzo dei social media da parte delle aziende italiane,  nata dalla collaborazione tra AIDiM, ANVED ed eCircle, la prima cosa che salta all’occhio è la volonta delle aziende di utilizzare i Social Media allo scopo di aumentare il dialogo con i consumatori raccogliendo più opinioni opinioni possibili sul brand e sui prodotti/servizi offerti. Una lettura approfondita dei dati dell’indagine, rivelano però una diffusa mancanza di strategie mirate allo sfruttamento delle suddette opinioni dei consumatori per trasformarle in concrete opportunità di business.

Il dato più interessante è relativo al numero di aziende utilizzatrici dei Social Media: infatti ben il 75% ha ammesso di utilizzare regolarmente Facebook, Linkedin, Twitter e blog per comunicare con i loro clienti. La percentuale sfiora il 100% quando parliamo di aziende con servizi di e-commerce.

La figure del leone la fa ancora Facebook, che con l’84% si conferma come il social network più utilizzato, seguito da Linkedin e Twitter. Il neonato Google+ si difende bene con il 25% di gradimento. Andando a leggere nel dettaglio i numeri di Facebook, scopriamo che oltre il 60% delle aziende italiane consultate ha optato per l’apertura di una fan page o di un profilo. Solo il 30% di esse, però, ha deciso di investire in una campagna pubblicitaria sui social network.

Interessante anche il dato che riguarda le nuove risorse introdotte in azienda per sviluppare questo tipo di business: il 54% delle aziende ha almeno una figura interna dedicata alla gestione dei social media, anche se solo il 58% delle aziende aggiorna regolarmente le pagine o i profili.

E voi, cosa aspettate a sviluppare il vostro business sulle reti sociali? Parliamone.

Complimenti a Costa Crociere: ecco come si gestiscono blog e social network in caso di naufragio.

La tragedia la conosciamo tutti, purtroppo, anche i muri. E’ proprio per questo motivo che non voglio tornare su quanto successo all’isola del Giglio, perché se ne sta già parlando in decine di altri siti e blog.

Lo scopo di questo post è quello di raccontare la professionalità e la scelta strategica adeguata con cui l’azienda Costa Crociere ha voluto comunicare, e di conseguenza gestire, la vicenda e il probabile disastro d’immagine che poteva scatenare.

La notte dell’incidente, quando ancora nessuno tra i principali siti di informazione aveva pubblicato la notizia, sul blog ufficiale di Costa Crociere sono apparsi due post (all’una e alle cinque del mattino) dal contenuto molto formale in cui si comunicava ciò che stava accadendo nei pressi del Giglio. Qui il primo post e qui il secondo.

Andando a memoria, credo che si tratti della prima volta in cui un’azienda italiana in un momento tragico e delicato come quello del naufragio di una sua nave, decide di informare così tempestivamente la clientela attraverso la rete. E facendolo senza farsi prendere dal panico e quindi sfruttando la rete nel modo migliore.

Un blog aziendale non è una vetrina o un catalogo prodotti. Un blog aziendale è un posto, uno spazio, una bacheca, in cui poter comunicare cose che non riguardano necessariamente l’aumento del fatturato e delle vendite. E Costa Crociere questo lo sa bene e la testimonianza di ciò l’abbiamo avuta sotto gli occhi  la notte della tragedia.

Inoltre l’azienda ha anche dimostrato di sapersi muoversi nel rutilante mondo dei social network, decidendo di lasciare aperta a tutti la bacheca della pagina Facebook.

Un comportamento che alla lunga ha pagato: infatti il commento delle 5 di notte pubblicato su Facebook , è piaciuto a 2.811 persone.

E scusate se è poco.

Omsa, che caos!

Da Omsa, che gambe! a Omsa, che caos!

Si evolve così il claim della nota azienda di calze da donna di Faenza che è al centro di un caso di cui stanno parlando un po’ tutti i media, digitali e non.

La storia è questa: lo scorso 27 dicembre, 239 lavoratrici della Omsa si sono viste recapitare un fax dalla dirigenza in cui si comunicava l’intenzione di interrompere il rapporto di lavoro al termine della cassa integrazione previsto per il prossimo marzo.

Da qui  l’idea di attivare su Facebook una campagna di boicottaggio delle linee di prodotto dell’intero gruppo Golden Lady (di cui Omsa fa parte), ossia i brand: Golden Lady, Omsa, SiSi, Filodoro, Philippe Matignon, NY Legs, Hue e Arwa.

La campagna di boicotaggio della Golden Lady sta avendo un incredibile successo. E’ stata infatti creata una pagina Facebook dedicata alla protesta chiamata  Bomsa. Boicotta Omsa e che ha sommato in pochi giorni già 4.694 “mi piace” con numerose  interviste alle operaie coinvolte, interventi dei principali partiti politici a favore della vertenza e commenti di solidarietà giunti da tutta Italia.

La ciliegina sulla torta, una torta evidentemente amara per il gruppo di Faenza, è la creazione di un evento pubblico sempre su Facebook, previsto per il 31 gennaio e ribattezzato “Mai più Omsa“, la cui pagina Facebook, nata da qualche giorno,  ha già raccolto 24.866 aderenti al boicottaggio (la crescita è di più di dieci al minuto): chiunque scegliesse di cliccare sul bottone “parteciperò”,  si impegna a non acquistare prodotti Omsa e Golden Lady e a invitare amici e conoscenti a fare lo stesso.

Un’ altra piccola rivoluzione digitale.

Omsa, che caos!

Web Reputation: il caso di Fabio Volo e della copertina di Vanity Fair.

Antefatto: Vanity Fair chiede un’intervista a Fabio Volo alla vigilia dell’uscita del libro e del film. Fabio Volo accetta. Vanity Fair però, pone tra le condizioni che l’intervista sia una sorta di esclusiva e che esca prima di eventuali altre interviste. Unico strappo alla regola, l’uscita di un pezzo su Sette, scritto dallo stesso Fabio Volo.

L’intervista su Vanity Fair è regolarmente uscita, addirittura il settimanale decide di mettere Fabio Volo in copertina, cosa che non fa quasi mai, quando si tratta di scrittori. Ecco qui sotto la copertina in questione.

Il settimanale esce senza che Fabio Volo veda la copertina. Quando la vede va su tutte le furie. Gli dà fastidio quel titolo: Voi donne che non capite IL SESSO, messo proprio lì sotto la sua faccia.  Volo decide così di scrivere due righe sulla pagina Facebook del Volo del mattino, la trasmissione radiofonica che tiene ogni giorno su Radio Deejay. La pagina, al momento in cui scrivo, “piace” a 72.087 persone, davvero una popolazione immensa di fan, stando alle medie di Facebook. Leggete qui cosa scrive Volo:

Non voglio entrare in polemica con il direttore di vanityfair. Ho scritto giorni fa che trovavo il titolo con la mia faccia in copertina squallido. Oggi ha difeso i suoi lettori e la giornalista. E’ un bel gesto da parte sua ma non lo capisco. Io non ho espresso alcun giudizio sui lettori e tantomeno sulla giornalista con cui mi sono trovato bene durante l’intervista. Io ho espresso un parere sul titolo e il titolo lo fa il direttore. A me conveniva stare zitto perché per il mio lavoro vanityfair e’ importante. Scusate dico ancora ciò che penso. E’ stato un titolo sleale come quello di difendere i lettori e la giornalista quando io non ho accusato nessuno. Un abbraccio a tutti anche al direttore

Pronta la replica del direttore di Vanity Fair, Luca Dini, che sul sito del settimanale risponde così a Volo:

Quando mi avevano segnalato il tweet del 13 dicembre (Dorian era stato il primo) avevo deciso di fare due cose. Primo, contare fino a cento invece di replicare. Secondo, chiedere a Fabio Volo – attraverso chi lo rappresenta – se davvero quelle parole erano sue. Non avendo ottenuto risposte, non avendo visto smentite, e anzi leggendo stamattina un nuovo tweet, mi vedo costretto a difendere l’onorabilità del giornale e di chi lavora con me. Se poi qualcuno mi dirà che non è stato lui a scrivere quei post e quei tweet, sarò il primo a rallegrarmene. Perché non intendo certo offenderlo, io.

La prima intervista a Fabio Volo, nella raffica promozionale che ha accompagnato l’uscita del suo libro e del suo film, era stata offerta a Vanity Fair. Con il suo agente, che conosco e rispetto, si era detto che prima di noi sarebbe uscito solo Sette, con un articolo firmato da Volo e tutto incentrato sulla scrittura. Forse ho capito male io, forse siamo stati lenti noi a organizzare il servizio di copertina, fatto sta che, quando ci siamo presentati sul set del servizio fotografico, abbiamo scoperto invece che saremmo usciti in mezzo a tutti gli altri. Oggi, Gioia, Repubblica, Che tempo che fa, e sono solo quelli che mi ricordo.

La replica integrale di Luca Dini la trovate qui.

Questi dunque i fatti, il resto lo sta facendo la rete e chi la utilizza, con i commenti da una parte e dall’altra. E qui entra in gioco la web reputation sia di Volo che di Vanity Fair. E’ ovvio che la maggior parte delle risposte alle parole di Volo su Facebook stanno con lo scrittore-attore-deejay. Non poteva essere diversamente. Così come i commenti al post di Luca Dini sono per la maggior parte a sostegno di Vanity Fair.

Quindi la guerra è in atto sulla rete: chi difende il titolo di copertina di Vanity Fair e chi invece sta con Volo e con le sue idee. Se volete farvi un’idea del livello dei messaggi pro Volo, accomodatevi nel suo salotto. Se invece volete leggere le difese a Dini, ecco le chiavi per il salotto di Vanity Fair.

Finora non c’è un vincitore, anzi sì. E’ la rete. E’ lì infatti che succede tutto, oggi. E’ sulla rete che si va a parlare e a prendere le difese di questo o di quel fan. Tenetelo ben presente quando deciderete di aprire (ma spero che lo abbiate già fatto) la vostra pagina aziendale su Facebook o il vostro proflio su Twitter, perchè l’importante è esserci. Ma occhio alla reputazione.

Twitter ha cambiato look.
Il successo gli ha dato alla testa.

Giusto il tempo di capire come funzionava ed ecco che Twitter decide di cambiare interfaccia. Per la gioia dei tanti microblogger che erano finalmente riusciti a capirci qualcosa.

Evidentemente al principe dei social network il successo ha dato alla testa. Appena ha saputo di essere sulla bocca di tutti ha deciso di farsi ancora più bello rinnovando la grafica delle pagine.

Qui sopra vedete infatti la nuova grafica del mio profilo Twitter con tutte le caselle al posto…sbagliato. Nel senso che ciò che prima era a destra, ora è a sinistra. E viceversa.

Tipico dei social network. E speriamo che ora, per un po’, ci lascino stare con questi cambi improvvisi.

Ma vediamo nei dettagli cosa ha portato di buono il cambiamento d’immagine.

Il profilo è in apparenza più ampio e ricorda un po’ quello del rivale Facebook. La novità forse più importante è la presenza della amata-odiata pubblicità, amata per gli inserzionsiti e odiata per chi se la dovrà sorbire. Ma anche qui vige la regola del “senza pubblicità l’alternativa è chiudere“.

La famigerata reclame arriva tramite le pagine commerciali, chiamate brand pages, messe a disposizione delle società che vogliono diffondere prodotti e servizi.

Il Ceo Dick Costolo, dice che «Twitter ha l’obbligo di raggiungere ogni singola persona dell’universo internet», ecco il motivo del cambiamento che dovrebbe rendere più intuitiva e facile la pubblicazione dei micropost da 140 caratteri.

Per saperne di più  dire la vostra, l’hashtag da seguire è #newtwitter .