Facebook cambia l’indirizzo di posta sul nostro profilo senza avvisarci.

Non so quanti di voi se ne sono accorti, ma da qualche giorno Facebook ha modificato senza avvisarci il nostro indirizzo di posta visibile sulle informazioni del nostro profilo pubblico, inserendo di default la mail nome.cognome@facebook.com, e nascondendo l’originale indirizzo fornito dall’utente al momento dell’iscrizione.

Non esattamente quella che si chiama una bella mossa. Sarebbe stata carina una comunicazione in cui Zuckerberg e soci ci avvisavano dell’operazione, magari dandoci la possibilità di scegliere se confermare o no la modifica. Le cause di questa discutibile iniziativa risiedono molto probabilmente nella volontà, da parte del marketing di Facebook, di fare pubblicità al nuovo servizio di posta elettronica targato appunto Facebook. Negli Stati Uniti, ma presto anche da noi e in tutta Europa, già divampano le polemiche.

Ma dove finiscono le mail indirizzate all’account di Facebook?  Semplice: saranno visualizzate come normali messaggi interni e arriveranno come notifiche all’indirizzo di posta originale.

Ma un metodo per aggirare il colosso dei Social Network c’è. Per reimpostare come account di posta principale il vecchio indirizzo e-mail, dovete andare nelle informazioni di contatto, cliccare su “modifica”, spuntare “non visibile sul diario” per l’indirizzo Facebook e “visibile sul diario” per quello vecchio, dopodichè sarà necessario salvare le nuove impostazioni.

Pubblicità sui Social Network: la General Motors va controcorrente.

Dico subito che questo post è per me controproducente, ma siccome questo è un blog trasparente, nulla mi può impedire di riportare quanto pubblicato, ieri, sul Corriere della Sera:

General Motors sospende la pubblicità a pagamento su Facebook. Secondo i manager della casa automobilistica l’impatto sul pubblico dei social network è scarso. Lo scrive il Wall Street Journal secondo il quale la casa di Detroit continuerà tuttavia a curare le proprie pagine su Facebook, attraverso le quali fa marketing, ma non a pagamento.

Evidentemente anche nel Web Marketing non tutte le ciambelle riescono col buco. E poi si tratta di capire con che pasta era fatta la ciambella della General Motors.

Perché il giornalismo non può più fare a meno della rete.

 

Ieri nell’inserto economico Affari&Finanza in edicola con Repubblica, mi ha colpito la rubrica Backstage di Simone Marchetti che parlava di un tema a me molto caro, quello dei Social Network e delle loro straordinarie risorse messe a disposizione a chi vuole comunicare con efficacia sulla rete. Ecco cosa racconta Marchetti:

Marzo 2012. Sfilata di un marchio di moda. In seconda fila due giornaliste di moda italiane parlano a voce alta. La musica, in sala, è assordante. La prima chiede chi siano, in quinta fila, quelle persone sedute di fianco ai colleghi. La seconda risponde che non lo sa, forse sono infiltrati. Dietro di loro, un redattore di qualche anno più giovane spiega: sono alcuni fashion blogger. “C’è la ragazza famosa”, sottolinea citando il relativo sito, “il ragazzo che aiuta la Camera nazionale della moda, quella che si spaccia per blogger e invece fa consulenze di marketing e quello che aiuta un’ex giornalista televisiva convertita a internet”.
Le due fanno occhi da pesce lesso. “Non ci interessano i blogger”, dicono. “Non abbiamo mica tempo per guardare tutti i siti che spuntano come funghi. Del resto, non abbiamo nemmeno un profilo su Facebook. E Twitter, per noi, è un cicaleccio per ciarlatani. Vuoi mettere i nostri articoli e i nostri redazionali di moda? La loro qualità, il loro potere d’informazione”. “Oggi però”, continua il collega più giovane, “le nuove generazioni si informano su tablet e cellulari, controllano più i Social Network di quotidiani e periodici e chiedono nuove modalità di giornalismo. I blogger, poi, vivono attaccati ai risultati di Google Analiytics e sfruttano al massimo le potenzialità dei nuovi mezzi di comunicazione”. “Google che? Guarda che il motore di ricerca lo so usare anch’io”, taglia corto la giornalista. “Ma no! Google Analytics è un’altra cosa… Però non fa nulla, sta per iniziare la sfilata”, taglia corto il collega.
In questo siparietto, divertente e allarmante, sta la spiegazione del cortocircuito in atto nell’informazione di moda (e non solo) di oggi. Da una parte ci sono i blogger, bravissimi a maneggiare le nuove tecnologie. Dall’altra, la maggior parte dei giornalisti, arroccati nell’accademia dell’altro ieri. All’estero, però, pochi (ma buoni) blogger stanno imparando la professionalità dei giornalisti, mentre molti reporter si stanno appropriando dei mezzi dei blogger. Domanda: perché in Italia questo processo è ancora agli albori?

E voi di che categoria fate parte? Giornalisti di oggi (e di domani) o giornalisti di ieri?

Fonte: Affari&Finanza – La Repubblica

Mark Zuckerberg starebbe pensando di chiudere il Diario di Facebook. Il motivo? Non piace alla gente.

Da ieri, sull’interessantissimo forum di Giorgio Taverniti, gira questa news ancora in attesa di conferma:

Il 15 dicembre è approdata una novità in casa Facebook: il “Diario”, il quale va a sostituire il classico e ormai noto profilo dell’utente. Questo cambiamento ha suscitato numerose lamentele tra i frequentatori del social network, infatti la maggior parte degli utenti non ne è affatto soddisfatto. Leggendo in vari blog e parlandone con i diretti interessati è emerso che il Diario è scomodo, disordinato, confusionale… In poche parole quasi nessuno lo sopporta! Queste sono solo alcune delle lamentele giunte all’orecchio di Mark Zuckerberg , il quale ha deciso che nei prossimi mesi verrà data la possibilità a ciascun utente di mantenere il Diario oppure ritornare al vecchio profilo classico. Avanza anche l’ipotesi di poter scegliere un terzo tipo di profilo (ancora in fase di realizzazione). Ma cosa avrà fatto cambiare idea a Zuckerberg? Sarà forse perché l’applicazione piace a sole 4.692.709 su 800 milioni di profili che gestisce Facebook?

Io personalmente non ho mai amato il Diario di Facebook (e con me è d’accordo il 70% dei partecipanti al sondaggio della foto qui sotto) e ho trovato scorretto renderlo obbligatorio (parliamo di pagine e non di profili) dal primo di aprile. Staremo a vedere cosa deciderà il grande capo Mark. In attesa che confermino l’attendibilità della notizia. Sarebbe un clamoroso caso di marketing dal basso.


Twitter, il social network casa e chiesa.

In un’intervista al quotidiano l’Unità, il cardinale Ravasi ha dichiarato: «Così porto la Chiesa nel “cortile” di Twitter».

I tweet del cardinale Ravasi, circa un paio al giorno, sono la testimonianza concreta che i social network sono ormai entrati di diritto nelle nuove forme di comunicazione degli italiani. Un bel passo avanti per il futuro delle reti sociali, in Italia e nel mondo. Volete un assaggio di ciò che scrive il cardinale? Eccolo: L’amore che non si rinnova ogni giorno e ogni notte diventa abitudine e lentamente si trasforma in schiavitù. E poi anche citazioni di Kahlil Gibran e passi dei Vangeli, frasi di Sciascia e John Lennon, Gesualdo Bufalino e Goethe, versetti del Libro di Siracide e delle Lettere ai Corinzi. Insomma, di tutto, di più.

Ormai sono cinquecento milioni le persone che ogni giorno si misurano con i brevi testi di Twitter e ultimamente anche i vip preferiscono il cinguettio veloce ad altre forme di comunicazione sociale, Facebook compreso. Ma il cardinale Ravasi non è l’unico rappresentante vip della chiesa cattolica su Twitter, è atteso a giorni anche il debutto di Papa Benedetto XVI che sta per aprire il suo account ufficiale. I tweet non saranno inviati da lui ma riceveranno la sua approvazione.